Competitività made in Italy – L’invenzione di Leonardo
Con Dmin il controllo della distribuzione rimane a chi ha i diritti. Ma il cittadino può accedervi attraverso il dispositivo di sua scelta
Media digitali. La rivoluzione di mercato secondo Chiariglione, padre dell’mp3
Che vantaggi può dare all’industria italiana la creazione di un unico spazio interoperabile per il digital right management?
Parla l’autore della proposta che mira a un nuovo business model del settore
TONIDEMARCHI
Ci dev’essere più di qualcuno che, sotto sotto, lo considera uno dei responsabili della cosiddetta “pirateria” digitale. Senza l’mp3, di cui è uno dei padri così come è il principale artefice del gruppo di standardizzazione Mpeg, il download illegale della musica non sarebbe probabilmente diventato quel fenomeno mondiale che conosciamo. O per lo meno lo sarebbe diventato molto più tardi. Sarà forse per questo che Leonardo Chiariglione ha deciso di mettersi alla testa di un gruppo di personalità di diversa estrazione per creare quello che ha battezzato un DRM interoperabile, o iDRM. Dove quella “i” potrebbe stare anche per “italiano” perché ciò che preconizza l’ingegner Chariglione è una soluzione nazionale al problema del Digital Rights Management che, da una parte, crei uno spazio unico nazionale ed interoperabile per tutti i media digitali, compresi quelli streamed come la DTT o l’IpTV, e dall’altro costituisca una proposta nazionale da giocare sull’arena globale per promuovere le aziende che producono media digitali. Chiariglione sostiene da tempo che le tecnologie numeriche hanno dato vita a molte industrie di grande successo e profittabilità. Ma lo stesso non è stato con i media numerici, figli e conseguenza della stessa rivoluzione. D’altronde è comprensibile: mentre le prime si devono confrontare solo con il mercato, i secondi, oltre al mercato, devono convivere con normative nazionali diversificate, abitudini di consumo, leggi incapaci di rispondere alle evoluzioni tecnologiche. Il diritto d’autore, nelle sue innumerevoli declinazioni nazionali ante-mercato globale della creatività, riassume le contraddizioni della realtà di oggi.
Lanciando un anno e mezzo fa Digital Media in Italia, “Un’iniziativa per interrogarci sul ruolo dell’Italia e per programmare il nostro futuro” come recita la home page del suo sito (www.dmin.it), Chiariglione immagina un sistema nazionale, aperto, basato su tecnologie open source che coinvolga i tre attori principali dei media digitali: il produttore, la rete di distribuzione (satellite, dtt, iptv, internet) e l’acquisto “sicuro”. Progetto suggestivo già pervenuto alla formulazione di una serie di specifiche che, a marzo 2007, erano maturate fino alla versione 4.0. In sostanza quello che dmin.it si propone è uno spazio digitale nazionale (ma anche più ampio, se possibile) dove i contenuti digitali che posono essere protetti con tecnologie proprietarie debbano essere offerti anche in una versione non proprietaria e interoperabile con qualsiasi dispositivo che risponda alle medesime specifiche iDRM.
Una proposta di drm nazionale ha senso in un contesto globalizzato dove i grandi attori, capaci di determinare modalità e comportamenti nei consumi, sono pochissimi e non certo disponibili a rinunciare a quote di mercato?
La proposta di dmin.it non può presentarsi come una continuazione dei modelli di business che sono attuati oggi, modelli peraltro sotto pressione come riportato da tutti gli organi di informazione. Teniamo comunque presente che i contenuti possono essere distribuiti a copertura globale, ma la legislazione che si applica ad essi è sempre quella di un paese specifico. Da sempre i dettagli legislativi relativi alla distribuzione e consumo dei contenuti sono diversi da paese a paese. Ma la proposta dmin.it per distribuire i contenuti è relativamente conservativa. Chi ha diritti, magari esclusivi, sui contenuti continua ad averli. L’unico obbligo è che la distribuzione avvenga se due canali paralleli: uno con tecnologia proprietaria (se l’operatore la vuole usare) e l’altro con tecnologia aperta. Il controllo della distribuzione rimane nelle mani di chi ha i diritti al contenuto, però il cittadino può accedervi con il dispositivo di sua scelta.
Non mi è chiaro come dmin.it garantisca l’interoperabilità con analoghe tecnologie, in particolare rispetto ai produttori hardware non italiani.
La risposta è in generale no. Le tecnologie che fanno tutto non ci sono ancora. L’interoperabilità di dmin.it è tra le diverse implementazioni della specifica.
La possibilità di un abbandono generalizzato dei Drm da parte dell’industria discografica in particolare (vedi recente decisione Emi) non cambia radicalmente le prospettive di questa e di analoghe iniziative?
Prima di tutto dobbiamo metterci d’accordo su cosa significhi DRM: in italiano gestione dei diritti con tecniche informatiche. Chi associa in modo esclusivo l’acronimo DRM con le tecniche di protezione abusa del suo significato. Il ritorno al significato originale dell’acronimo è uno dei punti chiave della proposta dmin.it e la tecnologia che sarà specificata dovrà permettere agli utilizzatori di scegliere fra forme di pura “gestione” (come ad esempio le licenze Creative Commons) e forme di protezione più o meno rigide.
La spinta molto forte da parte della Commissione Ue per uno spazio unico del mercato digitale europeo (vedi le decisioni per le limitazioni nazionali nell’acquisto di musica on line) non diventa anch’essa un ostacolo a soluzioni nazionali?
Forse un giorno sarà così. Al momento attuale ogni paese regolamenta, all’interno di alcuni principi generali di copertura europea, la distribuzione dei contenuti. Quando quel giorno arriverà la Commissione europea avrà un bell’esempio di come si fanno le cose per ricompensare chi crea, non alienare chi consuma e dare opportunità nuove a chi offre servizi.